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Zero (2021), il vero potere è essere invisibili: la recensione della prima stagione su Netflix

26/06/2021 09:00

Rossella Romano

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Zero (2021), il vero potere è essere invisibili: la recensione della prima stagione su Netflix

Il vero potere è essere invisibili: Zero, la nuova serie Netflix tratta da Antonio Dikele Distefano

Il vero potere è essere invisibili: Zero, la nuova serie Netflix tratta da Antonio Dikele Distefano

Il fumettista Menotti, già sceneggiatore di numerosi show italiani e co-autore di Lo chiamavano Jeeg Robot, porta su Netflix una serie liberamente ispirata al romanzo Non ho mai avuto la mia età’di Antonio Dikele Distefano. Al suo fianco troviamo registi eclettici come Paola Randi (presente al TFF nel 2018 con Tito e gli alieni) e Mohamed Hossameldin (selezionato a Venezia con Yousef). 

Di che cosa parla Zero, la serie Netflix

In Zero sono tanti gli spunti presenti nella trama ma poco sviluppati e approfonditi, la trama però potrebbe essere riassunta così. È la storia di Omar (Dave Seke), un ragazzo italiano di origini senegalesi, che vive col padre e la sorella nel quartiere di Milano chiamato il Barrio; qui consegna pizze per mettere da parte i soldi che gli consentiranno di perseguire il suo sogno di diventare un disegnatore di fumetti. 

La vicenda gira intorno alla scoperta da parte di Omar dei propri superpoteri, che serviranno a tutti i personaggi per raggiungere l’obiettivo comune di salvare il quartiere dalla speculazione edilizia.

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La serie ha quasi la durata di un film: 3 ore divise in 8 episodi da 20 minuti che lasciano un senso di incompleto e frammentario, rispetto allo sviluppo di storia e ai personaggi, che ci accompagnerà fino alla fine. Allo spettatore la possibilità ma anche l’incombenza di chiudere i cerchi di alcune storie e concludere i puzzle delle vite dei personaggi coinvolti.

Zero, il potere di essere invisibili

Il leitmotiv che farà da sfondo a tutte le puntate è quello con cui inizia la serie: Omar che attraversa la città per consegnare pizze sulla sua bici e che riconosce di essere «uno come tanti, invisibile come i quartieri dove abitano». 

Si riconosce in una comunità invisibile: la sua non è una condizione personale ma quella di un folto gruppo di persone (incluso l’amico senzatetto che diventa l’eroe muto, sacrificandosi per tutti) che, come lui, conta poco o “zero” e che risulta quasi inesistente fuori dalla periferia. 

 

Mano a mano che Omar prende coscienza dei suoi (super)poteri, realizza che la guerra non è individuale ma collettiva e accomuna persone tanto qdiverse tra loro. 

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Zero: alti e bassi nella serialità italiana

In Zero tutto è fresco e giovane: dalle colonne sonore contemporanee rap-trap-pop (Mahmood, Marrakesh), alle immagini quasi filtrate e lucide degli skyline e dei murales; sino alla recitazione naturale e leggera. 

 

Da una parte si ritrova una certa armonia giovanile, dall’altra i temi trattati affondano le radici in questioni più grandi e troppo profonde per essere alleggerite così tanto. La sceneggiatura di Zero è debole: gli eventi proseguono in modo veloce, i passaggi logici sono spesso carenti, come anche i dialoghi. 

Ma gli spunti sono interessanti e attuali più che mai: la sensazione di essere invisibili viene sviscerata non solo all’interno del contesto sociale ma anche e, sopratutto, in famiglie che dovrebbero condividere la stessa cultura e la stessa lingua.

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Per fortuna ci sono gli amici del quartiere, che diverranno una vera e propria banda di (super)eroi: il potere di Omar è diventare invisibile, ma quello dei suoi amici è aiutarlo a diventare consapevole e cosciente di quello che significa vivere, e non solo attraversare, i luoghi. 

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