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Dopo Game of Thrones: cosa ci è rimasto della serie che ha cambiato (o forse no) la tv

20/04/2021 18:56

Marco Filipazzi

Editoriale, Approfondimento Serie Tv, Il Trono di Spade, Game of Thrones, George RR Martin, David Benioff, D. B. Weiss,

Dopo Game of Thrones: cosa ci è rimasto della serie che ha cambiato (o forse no) la tv

Game of Thrones arrivava in tv il 17 aprile 2011: ma oggi, a distanza di 10 anni (e dopo il deludente finale), cosa ci ha lasciato questo show?

 

Game of Thrones arrivava in tv il 17 aprile 2011 e si imponeva subito come un cult: ma oggi, a distanza di 10 anni (e dopo il deludente finale), cosa ci ha lasciato questo show?

 

È già trascorso un decennio da quando il mondo scopriva l’esistenza di Game of Thrones. Il mondo inteso in senso generico, al di là della cerchia stoica e nerd che sin dal 1996 attendeva (e attende, ancora adesso) che l’autore George R.R. Martin portasse avanti la storia de Le Cronache del ghiaccio e del fuoco.

A ogni modo, quando Game of Thrones arriva sugli schermi il 17 aprile 2011 si impone subito come nuovo standard televisivo, in un periodo storico in cui la gente era ancora scimmiatissima (e incazzata nera) con Lost, sospesa in un limbo di amore/odio per la creatura di JJ Abrams, Jeffrey Lieber e Damon Lindelof. Quello che ancora noi inconsapevoli spettatori non sapevamo era che lasciavamo una storia d’amore finita male (malissimo per alcuni, anche se, a onor del vero, chi scrive ha sempre trovato il finale di Lost la miglior chiusura possibile per una serie come quella) solo per gettarci tra le braccia di un’altra delusione. Una delusione che, se possibile, avrebbe fatto ancor più male.

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Conclusa la prima stagione di Game of Thrones, il fenomeno aveva ormai preso piede. La febbre di Westeros dilagava ovunque, i personaggi e le casate erano entrati nell’immaginario comune e tutti smaniavano dalla voglia di sapere come sarebbe proseguita la storia. La battaglia per il Trono di Spade era iniziata anche nel nostro mondo, imponendosi all’attenzione della cultura pop, alla faccia dei nerd che da 15 anni si tormentavano con quelle vicende. Eppure a loro, per primi, è apparso subito evidente un grosso problema: la storia.

Se Martin aveva impiegato così tanti anni a scrivere quei 4 volumi, considerando la produzione di una stagione di GoT all’anno, era improbabile che i romanzi rimanenti arrivassero sugli scaffali prima del finale della serie.

E così i due showrunner David Benioff e D. B. Weiss ci hanno messo una pezza: grossomodo tra la terza e la quarta stagione, il corso di alcuni eventi cambia. Ci si muove in direzioni inesplorate, facendo presagire un quadro generale diverso, pure in parte basato sulle idee dello stesso Martin. Poteva anche essere una buona idea avere due storie che si muovevano su differenti media in direzioni differenti. Ma è proprio qui che è cascato l’asino, anzi il drago!

Nelle prime stagioni (la prima in particolare) Benioff e Weiss sono abilissimi a condensare il mondo di Westeros, rendendo fruibile la sua complessità, le decine di personaggi, casate, alleanze e territori anche a un pubblico che non aveva mai aperto una pagina del libro. Non solo: riescono anche nell’impresa di sdoganare il fantasy in tv, dimostrando l’esistenza di una declinazione di questo genere che non fosse assimilabile né a Harry Potter (quella roba è per bambini!) né a Il Signore degli Anelli (quella roba è per sfigati!).

La chiave di lettura medioevale, quasi storica, con cui la narrazione viene trattata; l’alto tasso di violenza, ma soprattutto di sesso, collocano Game of Thrones sulla scia insanguinata lasciata da Spartacus e fanno capire al pubblico generalista che quella roba è sì fantasy, ma un fantasy per adulti. Da vecchio nerd mi spiace fare questo tipo di discorso. Sia Harry Potter sia Il Signore degli Anelli hanno contenuti e concetti che sono tutt’altro che da bambini, ma al pubblico generalista era questo ancora il messaggio che passava.

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Comunque, l’idea di Benioff e Weiss funziona nel bene o nel male. Peccato che, una volta privati del canovaccio scritto da Martin, quando i due avrebbero dovuto dimostrare che non solo erano bravi adattatori, ma anche bravi sceneggiatori, la complicatissima macchina che avevano messo in piedi inizia a mostrare segni di fratture. 

Gli scricchiolii di una struttura poco solida si iniziano a fare sentire tra la terza e la quarta stagione, ovunque. E i due showrunner corrono ai ripari, iniziando a eliminare personaggi su personaggi: ok, era anche una delle caratteristiche principali sia dei libri che della serie di GoT  - non affezionarti mai a nessuno perché quel personaggio potrebbe morire da un momento all’altro -  ma alcune rimozioni sono davvero troppo pretenziose e smaccate e molte storyline si indeboliscono o peggio, iniziano a girare a vuoto (quanto è deludente Jaime Lannister, in confronto al suo potenziale iniziale).

 

L'unica cosa che tiene botta è il comparto visivo sempre più faraonico. 

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Così, eccoci arrivati alla stagione finale, sbandierata come evento televisivo senza precedenti (e sì, in effetti lo è stato!) ma che da subito ha dimostrato l’assenza di un piano premeditato per la storia. Benioff e Weiss navigano a vista, cercando di svicolare il più possibile dalle teorie e dai pronostici che dilagano sul web. E, nella smania di sorprendere tutti, hanno comunque subito l’influenza del fan service. Un po’ quello che è successo alla trilogia Disney di Star Wars.

E, alla fine di questa epopea che cosa ci è rimasto? A dieci anni dalla messa in onda di Game of Thrones possiamo dire che è stata una grossa esperienza televisiva. 

Ma oggi, a due anni di distanza da quella cosa che mi rifiuto di chiamare "finale", il pubblico mainstream si è ingozzato di talmente tante serie (durante la pandemia, poi) che GoT se lo è in gran parte dimenticato. È un ricordo appartenente a un passato lontanissimo, a un’altra vita in cui potevamo sproloquiare pronostici davanti a una birra fino a tarda ora, fuori da qualche locale.

E i nerd stoici? Sono ancora qui ad aspettare che Martin ci degni del prossimo volume. Quello sì che sarebbe un colpo di scena degno de Le Cronache del ghiaccio e del fuoco.


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