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Black Mirror (2011): la recensione della prima, eccezionale, stagione della serie di Charlie Brooker

09/02/2021 17:06

Marco Filipazzi

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Black Mirror (2011): la recensione della prima, eccezionale, stagione della serie di Charlie Brooker

La prima stagione di Black Mirror arriva nel 2011: Charlie Brooker porta in tv i nostri più inquietanti (e realistici) incubi tecnologici

Nel 2011 Charlie Brooker porta in tv, in uno show destinato a diventare un cult, i nostri più inquietanti (e realistici) incubi tecnologici

È il 2011 quando Black Mirror entra a gamba tesa nel palinsesto tv. Una serie destinata a cambiare un sacco di cose e, almeno apparentemente, anche a invecchiare velocemente; specialmente considerando che molti episodi parlano di progresso tecnologico, qualcosa che muta così velocemente che è quasi impossibile starci dietro.

Per esempio, se oggi si scrive su Google “smartphone 2011”, tra le classifiche dei migliori modelli del 2011 troviamo il Nokia N9 MeeGo. Nokia, che da colosso della telefonia ha rischiato il collasso. Sempre nel 2011 il concetto di streaming era lontano, Facebook pareva ancora una cosa buona, Instagram era praticamente inesistente e Whatsapp veniva guardato con diffidenza.

 

L’e-commerce non era così diffuso, Amazon (in Italia) non esisteva e il concetto di Echo pareva uscito da un film di fantascienza. Insomma, il nostro rapporto con la tecnologia si è intensificato parecchio dal 2011: che sia un bene o un male spetta a noi deciderlo. Quel che è certo, però, è che qualcuno ci aveva messi in guardia. Con un urlo disperato, inghiottito dalla cacofonia che quotidianamente ci circonda.

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«State attenti!»​ diceva quel grido. «Non fidatevi!». Ma noi non siamo stati in grado di capirlo. O forse l’abbiamo compreso, ma abbiamo preferito ignorarlo e tornare a gingillarci con i nostri smartphone. Nonostante ciò il folle urlatore ha seguitato ad avvisarci. Ancora e ancora, finché un po’ di quel messaggio è stato colto. Ecco, l’urlatore si chiama Charlie Brooker.

Chi è Charlie Brooker

Sceneggiatore e produttore televisivo, Charlton Brooker inizia la sua carriera scrivendo per la rivista PC Zone dove, nel febbraio 1998, pubblica la vignetta-scandalo Helmut Werstler's Cruelty Zoo: storia di un parco a tema per bambini dove questi possono sfogare i loro istinti violenti torturando gli animali. Nello stesso periodo cura anche la rubrica “sick notes”, dove risponde ai lettori... insultandoli!

Negli anni ha collaborato con numerose altre riviste, arrivando fino al Guardian con la rubrica Ignopedia, in cui una persona (lo stesso Brooker) con poca o nessuna conoscenza dei fatti, parla di argomenti di attualità. Insomma, una visione premonitrice di quello che è il Facebook oggi.

In televisione esordisce curando la produzione di Dead Set, una serie tv inglese andata in onda nel 2008, che immagina lo scoppio di un’apocalisse zombie vista attraverso gli occhi di un gruppo di concorrenti rinchiusi nella casa del Grande Fratello (la serie quest’anno ha avuto un remake brasiliano, distribuito da Netflix: Reality Z).

 

Nel 2011 Brooker fa confluire tutta la sua esperienza di scrittore e sceneggiatore, acuendo al massimo la vena satirico-sociale e scrivendo i primi tre episodi di quello che sarebbe diventato uno dei migliori prodotti televisivi d’inizio secolo: Black Mirror.

Black Mirror, lo specchio nero della nostra realtà

Il black mirror del titolo è lo schermo spento dei nostri smartphone, dei nostri pc, delle nostre tv: il vero e unico filo conduttore della serie. Black Mirror è fatta di episodi autoconclusivi che riflettono (in vari modi) sul rapporto tra uomo, società e tecnologia e soprattutto su come quest’ultima possa influenzare (influenzi già o influenzerà, a seconda della distopia messa in scena) il nostro comportamento, le nostre relazioni, il presente e magari persino il futuro. Insomma, un progetto a dir poco ambizioso, che forse proprio per questa sua complessità tematica viene sviscerato poco alla volta. Per non svilirne la qualità.

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Là dove Shonda Rhimes sceglie con i suoi show di perpetrare 22 puntate a stagione, Charlie Brooker opta per farne solo 3, tutte di qualità altissima, tutte che riescono a centrare perfettamente l’obiettivo prefissato. Tutte in grado di lasciarti, a fine visione, in preda ad angoscia, sconforto e pessimismo.

Messaggio al Premier: The National Anthem

Il primo episodio di Black Mirror è anche il più reale: non cerca rifugio in nuove tecnologie, in distopie futuristiche, in altri mondi. È qui, è oggi e ciò che racconta potrebbe accadere da un momento all’altro. Il che è anche un bellissimo modo per prendere lo spettatore per mano e condurlo lentamente in questo mondo oscuro che è Black Mirror. A oggi, The National Anthem resta il solo episodio ancorato in tutto e per tutto alla nostra realtà.

 

La trama: il primo ministro inglese si sveglia una mattina con il messaggio di un pazzo che ha rapito la principessa; pretende, come riscatto, che il politico abbia un rapporto sessuale completo con una... scrofa! Il tutto, trasmesso in diretta tv.

Il focus è posto sul potere dell’opinione pubblica, sui sondaggi in grado di eleggere un uomo a eroe o decretarne la caduta, il tutto senza che questo venga nemmeno considerato un uomo: è una faccia, un nome, un hashtag di tendenza. E tutti hanno una propria opinione.

15 milioni di celebrità: 15 Million Merits

In un futuro indefinito, le persone vivono in camere che sembrano celle: trascorrono le giornate a pedalare su una cyclette, fissando un monitor e accumulando punti. I punti servono a fare qualsiasi cosa: comprare cibo (a distributori automatici), skippare la pubblicita nei programmi, acquistare accessori per il proprio avatar sino a dare la possibilità di accedere alle selezioni di uno show TV.

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Attraverso questa distopia, Brooker ci parla di noi, della nostra società, della costante ricerca di popolarità (il titolo è un richiamo ai famosi 15 minuti di celebrità profetizzati da Andy Warhol), del consumismo imperante che -  come si dice nell'episodio - ci obbligano «a comprare cose che nemmeno esistono!». I rapporti umani sono a zero ma, come il protagonista (Daniel Kaluuya, quello di Scappa - Get Out) imparerrà a sue spese, sono anche la sola cosa che conta.

Ricordi pericolosi: The entire history of you

Probabilmente la migliore, ma anche la più angosciante, puntata della stagione 1. Si parte dal presupposto che ogni persona ha installato un impianto in grado di registrare ogni cosa che vediamo. I ricordi possono essere proiettari su uno schermo tv e noi possiamo scorrerli come se fossero film, andando avanti, indietro e mettendo in pausa. Ed è da questo presupposto che una tranquilla cena tra amici diventa un gorgo di paranoia e ossessione.

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Questa volta i bersagli sono in parte i social: la roba che postiamo, i like che mettiano, le persone virtuali con cui interagiamo che si scontrano con la vita reale, con amici e cari che ci circondano.

 

Il confine di cosa sia vero e cosa realtà virtuale (costruita nella e dalla nostra mente) si sfoca, facendoci perdere la percezione di quello che è importante. Ma non solo. Ricordi pericolosi ci mette faccia a faccia anche con un altro interrogativo, ben più umano e amaro: quanto possiamo fidarci delle altre persone? Del nostro compagno di vita? Delle sue promesse e dei suoi giuramenti?

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La tecnologia diventa quindi surrogato delle relazioni umane, un filtro tra noi e il mondo reale. In una parola: i social network (ma non solo) in una quadratura del cerchio pressoché perfetta.

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